venerdì 13 giugno 2014

L'ammazzacaffè di SIMONE MANSERVISI

Amici miei!
Eccomi di nuovo tra le fila de L'Ammazzacaffé, per cercare di battere la canicola,
di uccidere il caldo.

E oggi lo voglio fare in una maniera inedita, mai vista su queste, seppur cybernetiche, pagine.


Oggi ritorna la rubrica de L'Ammazzacaffè!


Mettiamo in pausa tutto ciò che riguarda Aspettando il vento e le altre belle e divertenti cose in cui mi sto prodigando e di cui avrete una voce senz'altro tra non molto!

Oggi ritorna, dicevo, la rubrica de L'ammazzacaffè.
Ricordo per chi è poco pratico che in questa rubrichetta chiedo ad amici illustratori, fumettisti o disegnatori di illustrare, a modo loro, il concetto di Ammazzacaffè.
Che, neanche farlo apposta, è il titolo del mio blog!
Che coincidenze.

Ecco io oggi apro la finestra e in mezzo al festival di immagini lascio entrare un pò di aria fresca di narrativa. Di letteratura. Di parole.

Perché oggi l'ammazzacaffè non è disegnato.
È scritto.
E ce lo racconta SIMONE MANSERVISI.





L’APERITIVO


Caaar e re, mm oti unata sssasuca!”
L’omino dal volto giallognolo e lo sguardo spento che avevo di fronte parlava in modo incomprensibile.
Quella sera mi ero dato appuntamento al Bar 68 alle 18 per un aperitivo veloce con Einstein e il Fumettaro. Da veloce che doveva essere, però, si era prolungato fin dopo le 20. Uno spritz tira l’altro, e tra chiacchiere e brindisi erano volate via due ore.
Vi piace fare gli apericena, vero?!” era intervenuta – se non ricordo male! – la Sandrucchia, staccandosi dal suo gruppo di amiche intente a spettegolare tra un sorso di Falanghina e una tartina chimica della Pompy, la titolare polacca del bar.
Apericena? Che cazzo di nome di merda per questa moda” mi pare di aver pensato.
Caaaieie loaaa, mea da iuuuh uuuh ata buuusa?”
L’omino era sbucato quando Einstein e il Fumettaro erano già andati via e io stavo pagando l’ultimo giro di spritz (rinominato spruzz dalla Pompy) alla Sandrucchia, una che, come si dice in paese, “mettile qualcosa in bocca e tutto succhia”… Mi ero voltato e lui mi aveva sorriso, mostrando quei denti marroncini che facevano pensare a un cadavere putrefatto.
Ho così fatto un altro giro, pagando da bere all’omino, che a sua volta ha pagato da bere a me. Dagli spritz siamo passati ai calicini di vino al metanolo della Pompy. L’aperitivo che doveva essere veloce si è prolungato ancora e alle 21 passate l’omino ha detto qualcosa che ho tradotto come: “Andiamo a cena all’Osteria del Culo Rotto?”
Ma sì, andiamo!”
Guidi tu? Guido io? Guidi tu? Guido io? Alla fine ha guidato il pilota automatico e non si sa come, il mio Pandino scarlancato ha percorso i 5 chilometri di strade di campagna che portano all’osteria.
Non ricordo cosa abbiamo mangiato, probabilmente la classica grigliata cancerogena che ha reso famoso il Culo Rotto, fatto sta che a mezzanotte, l’omino era lì che quasi imprecava: “Usa cambusa Pio Dorcooo!”
Ora l’omino era diventato verde pisello sbiadito. Faceva paura. Mi sono avvicinato alla sua bocca come ipnotizzato; i denti marci sembravano tanti esserini malvagi animati. Ho cercato di concentrarmi sulle sue parole.
Dai cameriere… un’ultima sambuca!”
Ecco cosa cercava di dire. Almeno così sembrava.
Il cameriere si è avvicinato con un’espressione tutt’altro che amichevole.
Avete rotto il cazzo beoni! Non vi do più niente. E adesso fuori dai coglioni o vi caccio a calci in culo!”
Siamo usciti sulle nostre gambe malferme e saliti barcollando sul Pandino. Non ricordo assolutamente come siamo arrivati a casa. Il mattino seguente mi sono svegliato con un mal di testa apocalittico. Non ricordavo nemmeno con chi ero stato al Culo Rotto. Chi era l’omino? Einstein? Il Fumettaro? No, loro ero abbastanza certo di averli lasciati al Bar 68. Allora chi? Tony Stantuffo? Poldo Tutta Cappella? Luchino di Mascarino? Gianni al Zupèn? Evaristo Testagrossa? Il Bamba? Il Sorcio?


Boh. Nebbia fitta. L’unica certezza che ho è che dopo essere partito con l’aperitivo, per poco non mi sono ammazzato di ammazzacaffè!







È stato durante una partita a sbarazzino al bar. 
"Manser, mi scrivi L'Ammazzacaffè?"
Lui alza la testa dalle sue carte.
Appoggia lo sguardo su di me. 
Dalle dita sale il fumo di una Diana Blu.
I vecchi al bar si zittiscono, come per magia.
Manser appoggia le carte.
Le labbra si muovono leggermente.
"L'ammazzacaffè se beve, nun se scrive."




Simone ritratto da mio papà.



Manser è uno che sta zitto.

E in un mondo di inquinamento sonoro questa è una grande virtù.
Manser non parla, scrive.
Lo potete trovare al bar, in giro a correre o mentre allena i pulcini a calcio.
Ma non gli sentirete mai fare un urlo.
Partendo da questa silenziosissima premessa, arriviamo al cuore di Simone.
Che sono i libri che scrive. Già perché lui scrive lì dentro quello che pensa.
La scrittura di Manser è un enorme coltello fatto di zucchero colorato. E' una dolcissima arma.
Perché intrattiene (grande dote per uno scrittore), diverte, Ma nello stesso tempo ti arriva in profondità, e quando te ne accorgi, questa si è già sciolta dentro di te.
ZAC!
Simone ha fatto un'altra vittima.
In odore di Pennac, di Fante e della birra di Bukowsky, le pagine di Simone scorrono svelte, come se un vento avido le stesse sventolando per dispetto.
Una delle cose che amo molto di come scrive il mio amico Simone, sono i racconti. Spesso si diverte ad alternare riflessioni, considerazioni, a racconti maggiormente esplicativi.
Nel penultimo libro che ha pubblicato, Appunti di un naufrago sentimentale (Ed. Il Foglio, 2013), i racconti occupano un ruolo di 'cornice' attiva, ad esempio.
Il trombamogli, La ricotta della Teresa, Il mito di Stantuffo sono solo tre dei numerosi racconti che ospitano personaggi come lo facevano le vignette di Jacovitti.
Non fai tempo a capire cosa stia succedendo che ti ritrovi un salame per le mani.




Io e Manser in una delle nostre 'uscite'.


È da poco uscito Far West Lazio. Il volo di Uccellino.
'Uccellino' era il soprannome da calciatore del papà di Simone, Pierpaolo, quando nel 1974 vinse con la Lazio il primo scudetto della società.
È questo un libro-intervista, che ripercorre quell'annata fatta di gol, duelli dentro e fuori dal campo e pistole negli spogliatoi.
Per trovare i suoi libri,
qui c'è il link del blog di Simone

IL BLOG DI SIMONE MANSERVISI

e qui quello della casa editrice

IL FOGLIO LETTERARIO


Ora mi fermo.
Vado al bar a cercare rinfresco.
E chissà, forse ci troverò Einstein.
O magari il mitico Tony Stantuffo.
Anche se la Sandrucchia sarebbe meglio.

Ordinerò il mio spritz e una Ceres.
Prenderò da dietro il banco delle caramelle il mazzo di carte bolognesi, un foglietto di carta e la penna per segnare i punti.
Uscirò nel cortiletto e mi siederò ad un tavolo.
Nello stesso tavolo di Manser.
Devo batterlo a sbarazzino.
Se volete venire fate pure.

Dice che oggi paga lui.




sabato 7 giugno 2014

Aspettando il vento // Plussiamo meglio è!

Internauti, bentrovati!

Scrivo dal mio tecnigrafo in penombra.
Fuori fa caldissimo e siete tutti al mare.

Io cerco refrigerio dopo la mattinata passata sotto una luna accecante su un campo da calcio in periferia di Bologna. Si svolgeva la tradizionale partita tra professori/educatori/ex allievi e gli studenti del Liceo Artistico, dove lavoro.

Prima del match l'arbitro entra nel nostro spogliatoio.
"Siete sicuri di giocare 90 minuti?" ci ha chiesto.
Il prof. di Educazione Fisica alza lo sguardo dagli scarpini che stava allacciando.
"Giocheremo 90 minuti. Hasta la muerte."

Si è deciso un intelligente compromesso tra le regole internazionali di calcio e le pancette e i capelli bianchi presenti nel mio team. Tre tempi da trenta minuti.
E siamo entrati in campo, con la luce bianca negli occhi e la sabbia sotto i tacchetti.
Erano le dieci di mattina.
C'erano 53 gradi.


Prendo una piccola pausa dalla cronaca del match per dirvi che cosa?
Ma che domai ci sarà la prima presentazione, ancora unofficiale, a dire il vero poiché il libro uscirà solo in estate, di Aspettando il Vento!

Vi allego due immagini, così capirete meglio di che parlo.











Dunque! 
A Cento (FE), si sta svolgendo il Plus Festival, organizzato dall'associazione Ferfilò.
Si tiene al parco del teatro Pandurera, trovarlo non è difficile!

Ferfilò è un'associazione composta da ragazzi che dire in gamba è sminuirli.
Fanno le cose fatte per bene.
Come lo studente che oggi ci ha fatto due gol.

Vi rimando a un loro link così li conoscete meglio!

L'immagine della locandina, tra l'altro, è dell'immenso Denis Riva, che se già non conoscete, vi presento pure con sommo piacere. 

Beh, se avete osservato per bene il volantino, noterete che nella giornata di domani, domenica 8 giugno,
alle 17 presenterò Aspettando il vento! Tra la caldella e le frasche, se avrete voglia, troverete me parlante del libro e scarabocchiante dedichine. 
Mi scuso se non ho avvertito prima dalle paginette del mio blog, 
ma se vi dico il motivo avrete un motivo in più per canzonarmi.

L'arbitro fischiala fine della partita.
6 a 2.
Per noi.
Mi sono quasi disidratato.
Pero ho fatto un gol.

L'anno prossimo propongo una sfida a biliardo al bar.
Con l'ausilio di un ammazzacaffè, magari.


Vi aspetto domani a Cento!
Bisous!